IL VIAGGIO DI L.
IL VIAGGIO DI L.
L. fa il portiere in una squadra di calcio per ragazzi. Lanci stupendi quando tira la palla a fondo campo, e fa pure delle parate niente male. Ha 15 anni e il calcio è uno dei suoi hobby. Durante un’amichevole, dopo aver respinto il tentativo di goal della squadra avversaria, l’attenzione si abbassa e i tic ricominciano. Ecco però che il gioco riprende subito: la palla è ancora in campo e gli avversari tentano un secondo attacco. Nel frattempo L., impegnato nel toccarsi ripetutamente e involontariamente le ginocchia, è preso in contropiede… gli esce allora un naturale: “Ehi, aspettate!!!”. Per fortuna la palla non entra in porta, e L. ne esce comunque con una bella figura di fronte a tutti, che impegnati nell’azione nemmeno si accorgono dei suoi tic costanti. Il fatto è che “il mondo non aspetta”. Il mondo si muove, mentre quello del tourettico si ferma. Magari bastasse un “Ehi, aspettate!”. Che tradotto in altri parole, potrebbe essere: “Aspettate che termino di sistemare i miei tic.
Ehi!!!... Io ci sono! Sono qui e sto giocando! Scusatemi se a volte mi sconnetto per un po’ dal presente. Abbiate pazienza, poi anch’io rientro (nel mondo reale) e posso parare il prossimo goal!”. L. ha 15 anni, frequenta il liceo e vive con i genitori e la sorella. Ho saputo che è affetto dalla Sindrome di Tourette a tre anni dalla diagnosi. In effetti, fino allora le giornate trascorse insieme erano state davvero poche, soprattutto durante le festività, le tradizionali occasioni d’incontro tra parenti – anche con quelli che vivono lontani come nel mio caso. Allora i sintomi e il disagio, che la ST costringe a subire, passavano quasi inosservati, poiché controllati in parte farmacologicamente, o perché in una fase non così acuta come oggi. Quel che si manifestava era invece una certa “stranezza” nel comportamento di L. e nelle sue modalità relazionali. Oggi, trascorrere del tempo con L., dopo che questi sintomi hanno avuto un nome, significa per me “toccare con mano” quanto quei tic siano “devastanti” nel compiere gli atti più semplici e spontanei della vita quotidiana: mangiare, parlare, giocare… in una parola vivere! Anche il banale entrare e uscire dalla porta che separa le stanze di casa diventa un’azione complessa. Che cosa accade? Improvvisamente il tempo e il corpo di L. si bloccano nel ripetersi costante e prolungato di un gesto uguale a sé stesso. Sono i tic elencati nei glossari scientifici che descrivono e analizzano la ST: tic corporei che vanno dalla testa agli arti, come toccarsi le ginocchia, i capelli, gli occhi, far scattare il collo o la spalla, sistemarsi le mutande e i pantaloni; l’emissione di suoni, come si trattasse di un particolare animale che tenta di comunicare nel suo linguaggio sconosciuto; contare e misurare ripetendo più volte i gesti e moltiplicando così il tempo, che per gli altri va avanti mentre per L. sembra fermarsi nell’estenuante ripetersi dello stesso gesto. Tra i “tourettici” – così chiamati come fossero degli strani abitanti del “Mondo di Tourette” – non sono rare manifestazioni di forte contestazione e spirito oppositivo.
C’è una minoranza, infine, che oltre ai tic presenta sfoghi verbali fatti di parole oscene e L. appartiene anche a questa minoranza. Il tourettico fa qualcosa su cui non può agire, ma di cui è cosciente, innescando così un circolo vizioso di frustrazione e senso di colpa per quello che ha fatto. Quando mi è stato chiesto di scrivere una testimonianza sulla storia di L., ho pensato che il titolo potesse essere “Il coraggio di esistere” – citando un testo del teologo P. Tillich, che sentivo attinente al tema, nonostante l’autore non si occupò di Tourette. Qui di seguito farò il possibile per chiarire il significato del mio sentimento. Chissà come sarà per L. frequentare la scuola? Trascorrere molte ore insieme ai compagni di classe, che ignorano le origini di un comportamento tanto bizzarro.
Chissà cosa significa per L. avere degli amici, quelle relazioni di cui ogni individuo ha bisogno per crescere? Chissà se L. ha voglia di innamorarsi? Come sarà per L. affrontare il resto della sua vita, se non riuscirà a gestire la sindrome? Domande angoscianti per la famiglia e per chiunque riesca a capire il reale senso d’impotenza che la ST causa. Interrogativi che sembrano non avere una risposta se non “il coraggio di esistere”, quello che nasce dalla disperazione alla quale la vita stessa ti conduce quando ti mette a dura prova. Per i tourettici “LA PROVA” si condensa in un’unica domanda: come imparare a vivere con la Sindrome di Tourette? Come nelle fiabe e nei miti, se c’è una Prova, c’è anche un Eroe! Questi racconti da sempre narrano del viaggio dell’eroe come metafora universale del viaggio della vita: un viaggio interiore, dalla disperazione alla speranza, che presuppone il cambiamento/trasformazione dell’eroe stesso grazie al superamento di vari ostacoli. L’eroe proviene dal mondo ordinario e ogni buona storia racconta di una chiamata all’avventura, una sorta di “incidente scatenante”, e pone una serie di interrogativi: raggiungerà il suo obiettivo? Supererà il suo difetto? Imparerà la lezione? Vorrei raccontare la storia di L. come quella del viaggio interiore dell’eroe; qui la chiamata è data dall’annuncio di essere affetto da ST… da cui nascono infiniti interrogativi… Quale l’obiettivo da raggiungere? Imparare a convivere con quella che per ogni eroe è l’Ombra, e che per L. è la Tourette. La Ricompensa/tesoro di cui entrerà in possesso l’eroe, attraverso il superamento della prova, è rappresentato da una maggiore conoscenza e consapevolezza, dalla riconciliazione e integrazione con le forze ostili, e solo allora il viaggio prenderà la “via del ritorno”. “Perché proprio io?”…“Perché doveva capitare proprio a me la ST?”…sono le domande legittime di chi è gettato in un’esistenza tanto difficile e incomprensibile. Se non possono avere una risposta ultima e risolutiva dal punto di vista esistenziale, meritano sicuramente il giusto ascolto da parte dei “facilitatori” nel superamento della prova. Nelle fiabe oltre all’eroe ci sono altri protagonisti fondamentali, tra cui i “mentori” che lo aiutano e fanno da guida attraverso saggi consigli. Anche nel viaggio di L. è necessaria la partecipazione e collaborazione di altri attori che facilitino il suo difficile cammino: la ricerca scientifica in campo neurologico (che ha bisogno di fondi per studiare sindromi rare); psicoterapeuti ed educatori specializzati; la scuola con insegnanti e presidi aperti e collaborativi; e anche di tante altre le figure “trasversali” (insegnanti di musica, yoga, teatro…).
Grazie ad alcuni di questi facilitatori/mentori, in particolare grazie a un neurologo esperto di disturbi del movimento, a un educatore preparato, al contributo del preside della scuola e della brava insegnante di riferimento, è arrivato il giorno in cui L. ha superato una prova fondamentale. Dopo alcuni mesi di assenza dalla scuola, a causa del continuo peggiorare del suo stato, anche in conseguenza di farmaci con effetti collaterali non di rado peggiorativi, L. si sente pronto per comunicare ai propri compagni di classe il segreto di cui tanto si vergogna e che genera derisione. “Ciao, mi chiamo L. e ho la Tourette”. In questa frase apparentemente semplice la parola “Tourette” potrebbe essere sostituita da qualsiasi altra sindrome, malattia, o forma di disagio, che in modo simile alla ST spinga la persona affetta a preferire di nascondere il proprio stato per vergogna e paura di non essere accettata per quello che è, sperando magari che nessuno se ne accorga. L’eroe si isola nella torre per difendersi dai possibili nemici. Invece, è fondamentale attraversare la prova e comunicare agli altri di avere la Tourette. La ST, in quanto disturbo organico, può entrare nella vita di una persona, usando il suo corpo contro la sua volontà, eppure le capacità dell’individuo non sono intaccate, anzi spesso sono di ordine superiore soprattutto in ambiti creativi e artistici. I tic, le parolacce e l’aggressività sono prodotte dal cervello e quindi interne al corpo, ma queste queste forze inizialmente ostili “il nostro eroe” deve imparare a dominare e convivere, magari sviluppando altre capacità emotive che lo rendano più forte: la pazienza, la resilienza, la tolleranza, ecc. La luce della coscienza chiarisce l’Ombra e può farla diventare una “fedele compagna”. Dichiarare di avere la ST è una delle prove fondamentali da superare nel percorso di CONSAPEVOLEZZA e ACCETTAZIONE poiché innesca un cambiamento positivo nel tourettico e nell’ambiente in cui vive (famiglia, scuola e comunità), in un circolo che può iniziare a essere positivo. Qual è stato allora il significato profondo di affermare: “Ciao, sono L. e ho la Tourette”? Forse l’esperienza vissuta da L. è stata simile al salto per attraversare il varco fra due montagne. Il salto è necessario nel percorso dell’autoconsapevolezza e lo si fa da soli… Ci sono luoghi in cui i mentori non possono arrivare e devono lasciarci soli. Esistono però delle corde invisibili di salvataggio e ancoraggio che, anche se non possono evitarci la caduta, ci fanno sentire la FIDUCIA, sentimento indispensabile in tutto il percorso di crescita e di vita. L’amore incondizionato dei familiari insieme alla professionalità dei facilitatori aumentano le possibilità di riuscita del salto. Solo attraverso il lavoro in rete e d’équipe, questi facilitatori possono realmente aiutare il tourettico a uscire dal circolo vizioso che la sindrome scatena.
Non c’è una sola strada da percorrere, e la si costruisce insieme passo dopo passo. L’obiettivo comune deve essere quello di offrire delle nuove possibilità d’esistenza al tourettico per vivere una vita degna di essere vissuta all’interno della società e di relazioni di rispetto con il prossimo. Laddove c’è conoscenza, senso di responsabilità ed empatia, può crescere il seme del rispetto e dell’accettazione. Il coraggio che serve per uscire dall’isolamento e dalla disperazione è difficile da comprendere se non si è a stretto contatto con la sindrome e se non si esercita quel minimo di EMAPATIA (altra cosa dalla più comune commiserazione), che è sempre la chiave d’accesso per entrare in relazione con l’altro. È difficile da accettare soprattutto se il territorio in cui si vive non ha ancora sviluppato e attivato servizi e strutture specializzati, e la gestione quotidiana della ST ricade nelle mani e nella buona volontà delle famiglie coinvolte. In tal senso, la mia testimonianza è anche un appello: desidero che il mio messaggio possa arrivare a tutti, tourettici e non, professionisti in campo scientifico e nella vita comune, persone affette da altre sindromi o patologie.
Desidero stimolare la costruzione di una rete tra tutti coloro che sono in qualche modo entrati in contatto con la ST o che in modo responsabile vogliano offrirsi come facilitatori per i tourettici e le loro famiglie per aiutarli a vincere la solitudine e l’isolamento in cui vivono, e spesso vengono lasciati. Il dichiarare di avere la sindrome è perciò necessario e fondamentale – nonostante le mille resistenze che ci limitano e che vorrebbero bloccare il processo naturale di crescita fisico-psicologica, socio-relazionale e spirituale di ogni individuo. Se il mondo non si ferma per noi, è essenziale avere il coraggio di richiamare l’attenzione del mondo verso noi e richiedere aiuto: COME E COSA FARE per imparare a vivere con la Sindrome di Tourette? (Romina Tiozzo)